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domenica 19 febbraio 2012

REALITY SHOW:INFLUENZA!

Ormai è raro sentire dei giovani parlare di libri, interessarsi alla lettura ormai non fa più parte dei giovani, i loro discorsi vagliano da quello che succede nei Reality show , all’ ultimo film uscito al cinema. Molti prendono come modello la gente dei reality show pensando che la notorietà e l’essere in tv siano i valori principali della vita. pensano che per far cariera bisogna necessariamente partecipare ad un reality ed effettivamente è quello che si arriva a pensare oggi.
Guardando la tv odierna ci si accorge subito del fatto che i programmi sono soprattutto di carattere demenziale piuttosto che culturale e che molti documentari hanno lasciato il posto ai cosiddetti reality show dove persone più o meno famose mettono la loro vita e la loro privacy sotto i riflettori in cambio di un po’ di fama.
La tv viene anche influenzata dalla società dove l’uso di parolacce e volgarità non è più sconveniente come in passato o forse è la televisione che influenza la società adattandola all’atteggiamento informale usato nella maggior parte delle trasmissioni odierne.In modo secondario il mal esempio è fornito anche da alcuni comportamenti di alcuni sportivi che vengono meno alle norme morali del fair play e si lasciano andare in comportamenti diseducativi e spesso molto violenti ovviamente l’influenza di certi atteggiamenti è estremamente minore rispetto a quella dei programmi dove spesso alcuni attori idoli dei giovani si esprimono o agiscono in modo volgare.  




Riflettiamoci!

venerdì 10 febbraio 2012

LA PREPOTENZA!

Cos'è la prepotenza? Una forma di violenza arbitraria, in contrasto con la legge e le norme della morale e del costume. Una violenza diffusa che la società non riesce ad espellere perché la gente si piega, si adegua impotente. La vediamo già nei bambini, nelle scuole dove c'è il bullo, il prepotente, spesso grande grosso e stupido, che opprime i più piccoli o si mette a perseguitare qualcuno per il puro gusto di spaventarlo, vederlo tremare, piangere, scappare. E il perseguitato non ha il coraggio di denunciarlo all'insegnante, perché l'altro lo minaccia e perché non pu portare prove. Ma pu essere anche la prepotenza di un insegnante che prende in antipatia un allievo, spesso un allievo di valore, e lo tratta peggio degli altri. I compagni di classe se ne accorgono, ma non sanno come dirlo al preside, come provarlo e, quindi, assistono all'ingiustizia impotenti. Poi c'è sul lavoro dove ormai è stato codificato con il nome di mobbing , c'è nei concorsi universitari dove il barone che controlla le commissioni pu bocciare o promuovere chi gli pare indipendentemente dal merito, perché si impone ai colleghi. L'essenza della prepotenza non è per il piacere di sentire l'altro in propria balia, di umiliarlo, di togliergli la dignità. L'essenza della prepotenza è l'ostentazione della propria superiorità rispetto a tutte le regole sociali, morali, legali e al giudizio della comunità, in sostanza l'ostentazione del proprio arbitrio. Il prepotente agisce sempre in modo tale da dimostrare agli altri che pu fare ci che vuole. La sua dimostrazione di forza sarà tanto più efficace quanto più è in contrasto con i valori riconosciuti. Perci non colpirà la persona meno meritevole, ma quella più meritevole e non sosterrà il migliore, ma colui che tutti ritengono scadente. 
Questo aspetto dell'agire sociale e dell'animo umano esiste anche nel mondo politico. Il politico di basso rango che raccomanda un incapace e che, per imporlo, è disposto a infangare chi merita, a distruggere la più bella delle istituzioni, non lo fa solo perché ne ricava dei voti o dei vantaggi. Anzi, se si informasse e negoziasse, otterrebbe molto di più. Lo fa per mostrare ai suoi pari e ai suoi potenziali clienti la sua forza, il potere di ottenere ci che gli pare e piace. 
L'azione del prepotente è sempre rivolta ad un pubblico a cui vuol dimostrare di essere onnipotente, un despota di cui si deve avere paura. E' per il suo pubblico che il prepotente urla, minaccia, usa un linguaggio volgare, osceno. Per dimostrargli che non si considera solo al di sopra di loro, degli altri, della morale, della legge, ma che disprezza e tratta come escrementi coloro che invece li rispettano. Il linguaggio osceno indica sempre brutalità e violenza. Infatti è abituale nella malavita, dove costituisce il corrispondente linguistico del suo cinismo e della sua spietatezza. 
La prepotenza è estremamente pericolosa dal punto di vista educativo. Perché dimostra ai giovani che la vita sociale, lavorativa e politica non è governata dalla legge e dal merito, ma dalla forza e dall'arbitrio. Che il potere non è in mano a chi incarna i valori, ma a chi incarna i disvalori. Che comandano la corruzione e l'immoralità

giovedì 9 febbraio 2012

PSICOLOGIA DEL LAVORO!

La psicologia del lavoro o psicologia delle organizzazioni è lo studio dei comportamenti delle persone nel contesto lavorativo e nello svolgimento della loro attività professionale in rapporto alle relazioni interpersonali, ai compiti da svolgere, alle regole e al funzionamento dell'organizzazione.
In altre parole, la psicologia delle organizzazioni prende i modelli e le teorie della psicologia e li applica all'ambiente di lavoro, cercando di:
  1. favorire sia il massimo benessere per le persone che lavorano, sia il massimo vantaggio per l'organizzazione per cui lavorano;
  2. migliorare le condizioni psicologiche, la motivazione ed i rapporti con gli interlocutori di ruolo, con l'azienda e con l'ambiente di lavoro in genere.
La psicologia delle organizzazioni, quindi, utilizza molti degli aspetti propri della psicologia generale nell'ambito organizzativo-gestionale. I campi d'applicazione della psicologia delle organizzazioni sono soprattutto: la gestione del personale, la leadership, la selezione, la valutazione, la formazione professionale, la comunicazione e i rapporti, le dinamiche di gruppo, la motivazione al lavoro, il sistema premi-punizioni, lo sviluppo della carriera.

Come già accennato, la psicologia delle organizzazioni nacque come psicologia industriale, che poi fu trasformata in "Psicologia industriale e organizzativa". La sua comparsa ufficiale si fa risalire alla pubblicazione, nel 1913, dell'opera "La psicologia e l'efficienza industriale" di Hugo Munsterberg, anche se il primo atto riconosciuto di intervento in azienda è del 1910, quando Jean Michel Lahy utilizzò per la prima volta dei test psicoattitudinali per la selezione del personale operaio.La psicologia delle organizzazioni nasce come psicologia industriale. La denominazione psicologia industriale apparve per la prima volta nel 1904, in un articolo di Bryan, come un errore tipografico al posto di psicologia individuale; negli Stati Uniti questo termine venne usato fino agli anni '70. Negli anni ’50 per indicare la psicologia del lavoro, nella letteratura anglosassone, entrò in uso l’espressione Occupational Psychology, che negli Stati Uniti era invece riferita solo allo studio dell’orientamento professionale. Fu in Italia, in un convegno del 1951, che Alberto Marzi propose di utilizzare l'espressione Psicologia del lavoro invece di psicologia industriale.
Munsterberg era interessato all’applicazione dei tradizionali metodi psicologici ai problemi concreti dell’industria, in particolare all’organizzazione del lavoro e alla selezione del personale. Fece studi sulla monotonia, l’affaticamento, sull’adattamento all’ambiente di lavoro e le prime analisi sulla motivazione al consumo e delle tecniche di vendita.
Siamo negli anni in cui si discuteva di organizzazione scientifica del lavoro al fine di migliorare la produttività e la componente psicologica aveva solo un ruolo accessorio. Lo sviluppo del taylorismo, infatti, contribuì a sviluppare attenzione verso lo studio dei procedimenti industriali e dei comportamenti delle persone sul lavoro, ma solo da un punto di vista prettamente tecnico e razionale.
Furono gli studi e le ricerche di Elton George Mayo nel 1920 a dare alla psicologia industriale un ruolo fondamentale nell'ambito delle scienze sociali ed organizzative. Mayo, fondatore della scuola delle Human Relations, attraverso gli esperimenti condotti presso lo stabilimento di Hawthorne della Western Electric, fu il primo a documentare scientificamente il collegamento tra elementi sociali, come le relazioni nel gruppo e il gioco di squadra, con elementi tangibili come la produttività e i risultati. In particolare scoprì quello che viene definitoeffetto Hawthorne, fenomeno per cui lavoratori chiamati ad impegnarsi in una nuova esperienza interessante lavorano di più e meglio. Da altre sue ricerche Mayo concluse che:
  • L’uomo è fondamentalmente motivato da bisogni di natura sociale, ed ottiene dal rapporto con gli altri il suo senso di identità
  • In conseguenza della rivoluzione industriale e dell’organizzazione scientifica del lavoro, il lavoro stesso è privo di significato intrinseco, il quale va ricercato nei rapporti sociali che si formano sul lavoro
  • Il lavoratore è più influenzato dalla forza sociale del gruppo che da incentivi e controlli della Direzione
  • Il lavoratore risponde alla Direzione nella misura in cui essa ne rispetta i bisogni sociali.
Queste nuove concezioni e idee vanno ad opporsi alla vecchia immagine di Homo oeconomicus, la quale sosteneva che l’uomo è motivato anzitutto da interessi economici e che ogni sentimento o altro interesse deve essere eliminato in modo che non interferiscano con il calcolo razionale dell’interesse economico. Al concetto di uomo economico si contrappose quello di uomo psicologico. Questa nuova visione legittimava il lavoratore ad avere sentimenti ed emozioni, che fanno parte della sua prestazione lavorativa.
La psicologia del lavoro, una volta evidenziati questi nuovi paradigmi, cercò di dare il suo contributo per migliorare le condizioni dei lavoratori. Innanzitutto esplorò il campo della "human engineering", allo scopo di perseguire le condizioni di lavoro più confacenti alle proprietà sensorialifisiche e sociali del lavoratore (buona visibilità dell'ambiente, livello acusticosopportabile, leggibilità delle apparecchiature, postura durante il lavoro, meccanizzazione per risparmiare energia fisica, durata del lavoro e intervalli).
Inoltre, la ricerca focalizzò la sua attenzione sulle modalità di apprendimento maggiormente funzionali (tempi e movimenti). Una innovazione furono lo studio per l'introduzione di una accurata selezione professionale, di un giusto criterio di "collocamento" e delle dinamiche di gruppo; a livello preventivo, vennero approfondite le probabilità di rischi infortunistici per ogni candidato.
Il nuovo concetto di lavoro subisce l’influenza di due scuole: da quella psicoanalitica deriva l’idea di uomo come possessore di una parte inconscia e, quindi, come attore di comunicazioni non solo razionali ma anche simboliche; dalla psicologia sociale eredita la concezione di pensiero collettivo, che introduce definitivamente nella definizione di lavoro la dimensione sociale e gruppale.
Un punto critico della svolta metodologica della psicologia del lavoro si colloca sicuramente negli studi e nelle sperimentazioni svolti dalla scuola socio-analitica che presso il Tavistock Institute of Human Relations di Londra, nell'immediato Dopoguerra, mise a punto un metodo di ricerca per applicare al comportamento sociale i fondamenti della psicoanalisi freudiana. Con questo modello metodologico fu realizzato un intervento per la Glacier Metal Company (1948), sotto la guida di Elliot Jaques, per la sperimentazione di nuovi metodi di gestione nell'ambito dell'organizzazione aziendale. Nello stesso periodo, l'Istituto londinese attuò una ricerca sui metodi produttivi nelle miniere di carbone. Questi studi e sperimentazioni portarono alla definizione del modello organizzativo dell'azienda come sistema aperto, una rappresentazione dell'organizzazione semplice e ricca di sviluppi e di applicazioni sia teoriche sia pratiche.
Alcuni dei costrutti teorici cui la psicologia delle organizzazioni fa riferimento sono: la teoria dei sistemi, i principi della termodinamica e l'entropia, la nascente scienza della complessità.
In Italia, la psicologia del lavoro nacque tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX, in concomitanza con la rivoluzione industriale; infatti già ai primi del Novecento a Modena venne fondato un laboratorio di psicologia del lavoro.
Il mondo italiano dei ricercatori era molto fertile in quegli anni, basti pensare all'invenzione della definizione di "Psicotecnica" effettuata da Guido Dalla Valle, oltre alla figura di Agostino Gemelli, considerato il padre della psicologia del lavoro in Italia, che dal 1908 in poi si attivò con una lunga serie di iniziative in questo ambito: studi, ricerche, riviste scientifiche e insegnamento. Nel 1921 trasferì da Torino a Milano la sede del Laboratorio di psicologia sperimentale, eppure nonostante tutti questi sforzi profusi, ancora nel 1923, quando fu organizzato a Milano, sempre da Gemelli il terzo Congresso internazionale di psicologia applicata all'esercizio professionale, l'attenzione generale, in Italia, fu pressoché nulla. Fu sempre Gemelli a polemizzare con il filosofo e ministro del governo fascista Giovanni Gentile, a causa del tentativo di asservire e inaridire la psicologia al potere economico e politico, e nel caso tedesco, dopo il 1933, addirittura di annientarla.
In Italia negli anni venti e trenta, mancò la determinazione ed il coraggio di mutare la psicotecnica in psicosociologia, a causa di fattori politici, della scarsa penetrazione della psicanalisi, della mancanza di strumenti essenziali come la ricerca e la scuola; questo fatto indusse gli psicologi ad allontanarsi dal mondo del lavoro, per rientrarvi solo nel secondo dopoguerra, quando incapparono, a causa di un ritardo formativo, giuridico, culturale, in una serie di equivoci e conflitti sia con le organizzazioni sindacali e gli imprenditori, sia con altri gruppi di ricercatori appartenenti ad altre discipline affini, come la medicina del lavoro, la sociologia
In Italia, ancora nel 1961, il 90% delle attività dei centri di psicologia del lavoro si occupava della selezione del personale, e solo in seguito i processi selettivi sono stati convertiti in orientativi. Ma proprio in quegli anni il quadro dello sviluppo della psicologia del lavoro era sconfortante, perdurando l'assenza di Facoltà di psicologia, annoverando solo una scuola di specializzazione disponibile ai laureati in medicina o in filosofia. Quindi il numero degli operanti nell'industria a livello nazionale era stimato a poche decine, a fronte di una richiesta dal mondo del lavoro stimabile intorno al migliaio.
Il 16 maggio 1961 nacque a Milano l'"Associazione per la psicologia italiana del lavoro", nella duplice veste di coordinatrice delle esperienze e delle professionalità degli psicologi e di sensibilizzatrice degli enti e degli ambienti interessati e coinvolti nello studio e nella ricerca.
Nel 1962 venne elaborata la relazione Miotto che rappresentò il primo tentativo dell'era post-Gemelli di denunciare l'incomprensione esistente tra la psicologia ed il mondo del lavoro, oltre ad elencare minuziosamente le possibili applicazioni della psicologia.
Gli anni "caldi" iniziarono nel 1968 con gli scioperi della Pirelli e all'Italsider di Bagnoli, dai quali emersero prepotentemente le istanze dei lavoratori rivolte ad un miglioramento complessivo della qualità del lavoro. Sia il sindacato, sia gli psicologi furono costretti a cambiare strategia: i primi crearono la Federazione lavoratori metalmeccanici (1970), gli altri si sintonizzarono sulle innovazioni finanziarie e produttive, quali le tendenze accentratrici del capitale e quelle decentratrici dei lavoratori.
Dalla seconda metà degli anni sessanta sorsero nuove scuole di specializzazione un po' in tutta la Penisola.
Dalla seconda metà degli anni settanta la psicologia affronta le contraddizioni del mondo del lavoro, cercando di intervenire con competenza in ambiti interdisciplinari che riguardano sempre più l'ergonomia aziendale, cioè il macrosistema uomo-ambiente, uomo-macchina e uomo-uomo; i nuovi contratti sociali, i nuovi criteri e metodi lavorativi, la flessibilità e la riconvertibilità impellenti, le motivazioni del lavoratore, il rimescolamento e la nascita di nuove categorie e figure aziendali, la diffusione dei "quadri", la recessione della figura operaia, la dilagante automazione, le crisi economico-finanziarie e occupazionali.
La Psicologia del lavoro e la psicologia delle Organizzazioni sono due discipline unite nel loro complesso, ma distinte da alcune peculiarità.
  • La psicologia del lavoro si occupa dell'analisi psicologica delle interazioni tra individuo ed attività lavorativa. All'individuo viene richiesto lo svolgimento di un compito all'interno dell'organizzazione. Tale compito comprende al suo interno numerose variabili che vanno ad influenzare la messa in opera da parte dell'individuo stesso: il carico di lavoro, l'ambiente lavorativo, gli atteggiamenti verso l'attività lavorativa, le caratteristiche del soggetto e le sue aspettative, il clima lavorativo ecc.
  • La psicologia delle organizzazioni si occupa dell'analisi psicologica del comportamento di individui e gruppi in relazione al funzionamento delle organizzazioni. In questo campo l'individuo è visto come un soggetto membro di un gruppo definito organizzazione. Vengono analizzati i sistemi di interdipendenza tra individui ed organizzazione che portano al raggiungimento di uno scopo comune e le relazioni che possono portare miglioramenti all'interno del gruppo.