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martedì 31 gennaio 2012

il gioco d'azzardo!

Il gioco d'azzardo patologico è un disturbo del comportamento che, anche se rientra tuttora nella categoria diagnostica dei disturbi ossessivo-compulsivi, ha in realtà una grande attinenza con la tossicodipendenza, tanto da rientrare nell'area delle cosiddette "dipendenze senza sostanze".
Il giocatore patologico, infatti, mostra una crescente dipendenza nei confronti del gioco d'azzardo, aumentando la frequenza delle giocate, il tempo passato a giocare, la somma spesa nel tentativo di recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e trascurando i normali impegni della vita per dedicarsi al gioco.Se il soggetto presenta almeno cinque di questi sintomi, viene diagnosticato un quadro di gioco d’azzardo patologico (DSM-IV1994).
Sintomi
  1. È eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (per esempio, il soggetto è continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare i modi per procurarsi denaro con cui giocare)
  2. Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato
  3. Ha ripetutamente tentato di ridurre, controllare o interrompere il gioco d’azzardo, ma senza successo
  4. È irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo
  5. Gioca d’azzardo per sfuggire problemi o per alleviare un umore disforico (per esempio, sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione)
  6. Dopo aver perso al gioco, spesso torna un altro giorno per giocare ancora (rincorrendo le proprie perdite)
  7. Mente ai membri della propria famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo
  8. Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo
  9. Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo
  10. Fa affidamento sugli altri per reperire il denaro per alleviare una situazione economica disperata causata dal gioco (una “operazione di salvataggio”).

Gioco d’azzardo online



Nell’era multimediale il giocatore d’azzardo cambia faccia: mentre prima era facilmente individuabile, “segregato” nei luoghi a lui deputati, ora chiunque sia in possesso di un computer, di un collegamento a internet e di una carta di credito può essere un giocatore compulsivo. Il gioco on-line è estremamente pericoloso proprio perché, dalla solitudine della propria casa, il giocatore non ha freni, né inibitori né di tipo pratico: ha infatti 24 ore su 24 la possibilità di accedere al gioco senza incorrere nello sguardo giudicante degli altri. Viene in questo modo a mancare anche la funzione socializzante del gioco, che diviene un rituale solitario e, facilmente, una compulsione. Anche qui, come nelle altre net-patologie, si crea un circolo vizioso in cui il soggetto rimane incastrato, trascurando i rapporti sociali e familiari.

In Italia

In Italia lo studio e la cura del gioco d'azzardo patologico sono abbastanza recenti, ma esistono numerose realtà che se ne occupano, sia a livello pubblico che a livello privato. In Italia la cura dei giocatori patologici è effettuata, anche se in modo ancora non omogeneo, dai Servizi Tossicodipendenze delle ASL, che sono generalmente in grado di fornire informazioni sui centri di cura anche quando non se ne occupano direttamente. Esistono inoltre alcune realtà private tra le quali Giocatori Anonimi, associazione gratuita e basata sull'auto-aiuto, affiliata a Gamblers Anonymous Americano, che aiuta il recupero da questa dipendenza e ha in Italia numerose sedi.

giovedì 26 gennaio 2012

psicologia dello sport!

La psicologia dello sport è la disciplina che studia gli aspetti psicologicisocialipedagogici e psico-fisiologici dello sport.
Per definizione e necessità essa trae ispirazione e contenuto da molteplici discipline che vanno dalla medicina alle scienze motorie, ma ha trovato negli anni un suo preciso e definito percorso di ricerca e di intervento.
Inizialmente la psicologia dello sport cercò di stabilire delle relazioni significative fra personalità e sport, utilizzando soprattutto strumenti diagnostici provenienti dalla psicologia clinica, ma successivamente si è specializzata nell'ambito della preparazione mentale e sulle abilità che possono essere incrementate nello sportivo, vale a dire l'attenzione, la concentrazione, la motivazione, la gestione dello stress e dell'ansia ed altro.
Lo psicologo dello sport è un dottore in psicologia (più spesso ad indirizzo clinico o del lavoro) che mette a disposizione le sue conoscenze pressoFederazioniEntiPalestre, Associazioni e si dedica alla formazione, tramite interventi individuali o di gruppo, dello staff dirigenziale, degli arbitri, degliallenatori, istruttori, degli atleti di sport individuali o di squadra.
Lo psicologo non è un tecnico, quindi non eroga servizi concernenti consigli o strategie tecniche e tattiche, ma riveste un ruolo ben definito: quello di esperto di tematiche psicologiche e psico-pedagogiche nei confronti di tutti i membri della Società sportiva. Lo psicologo dello sport si occupa in particolare di: allenare e potenziare le abilità mentali degli atleti, fra cui annoveriamo in particolare l'abilità di rilassarsi,di visualizzare, di porsi degli obiettivi, di mantenere la propria motivazione, di gestire l'ansia da prestazione. La psicologia dello sport sta dando un enorme contributo alla comprensione del ruolo dello sport nello sviluppo dei bambini, evidenziando come dedda rappresentare un'esperienza divertente, di crescita e consapevolezza del proprio corpo, dello stare bene con se stessi e gli altri (compagni di squadra e allenatore). Le principali competenze dello psicologo sportivo sono: il goal setting (formazione corretta degli obiettivi di prestazione e di risultato); allenare a gestire le emozioni; allenare alla visualizzazione del percorso e dei gesti motori dell'atleta; migliorare l'autostima dell’atleta; proporre strategie per la gestione dell'attivazione psicofisica dell'atleta; studiare e potenziare gli stili attentivi dell'atleta; lavorare sul self talk (dialogo interno) positivo e negativo; diagnosticare disturbi alimentari (DCA) sport-specifici; diagnosticare psicopatologie sport-specifiche come la nikefobia, l'ansia da prestazione o la sindrome del campione; analizzare il gesto motorio con videoregistrazioni; informare ed intervenire sull'abuso di sostanze dopanti e stupefacenti; informare ed intervenire sull'uso improprio di farmaci antidolorifici negli atleti infortunati; offrire consulenza sul dolore, depressione, perdita e suicidio negli atleti; offrire consulenza sull'overtraining e sul burn out negli sportivi; offrire consulenza sulla gestione della grinta e dell'aggressività in relazione allo sport; intervenire sull'infortunio sportivo e sul processo riabilitativo; seguire i passaggi di categoria e i cambiamenti nella vita dello sportivo; favorire il team spirit; favorire la gestione della coesione di squadra; analizzare e sviluppare la leadership di atleti ed allenatori; sviluppare le competenze relazionali dell'allenatore; sviluppare la sportività (fair play) negli atleti; offrire consulenze di parent training ai genitori.
Riguardo concentrazione e attenzione, dato che questa può essere spontanea (cioè involontaria, che "segue" gli stimoli così come si susseguono attorno all'individuo) e conativa (cioè volontaria, focalizzata su un determinato stimolo). È su questa seconda tipologia che si concentra la psicologia dello sport.
Che la mente possa influire significativamente su ogni attività umana e, quindi, anche su quella sportiva è stato certamente chiaro fin dai primi Giochi Olimpici ateniesi. il destino di una competizione sportiva non dipendeva esclusivamente dalla prestanza fisico-atletica, ma anche dall'astuzia, dalla strategia, dal coraggio, dallo stato d'animo, caratteristiche, quest'ultime, strettamente legate all'attività mentale dell'atleta. Nonostante ciò solamente intorno al 1890 alcuni educatori hanno espresso le loro opinioni sugli aspetti psicologici dell'educazione fisica. Norman Triplett nel 1897 effettuò i primi studi sulla performance in situazioni di agonismo. la psicologia dello sport iniziò ad entrare nelle università, con l'istituzione di master, dottorati e corsi di specializzazione. Tra il 1970 ed il 1980 furono condotti studi sul miglioramento della performance, sulla personalità dell'atleta e sulla motivazione. Negli anni ottanta si studiarono tecniche mirate al miglioramento della prestazione. Nel 1993 fu pubblicata la prima edizione di Handbook of Research on Sport Psychology da Singer e colleghi in cui erano raccolte le ricerche più significative pubblicate fino ad allora. "Dalla prima pubblicazione di questo manuale, vi sono state molte evoluzioni, segno di maturità. Negli ultimi vent'anni (1989) hanno preso poi piede gli studi di psicologia clinica dello sport grazie ai lavori di C.Ravasini-G.Lodetti( Aspetti psicoanalitici dell'attivita sportiva ed.Ghedini) La psicologia clinica dello sport si occupa degli aspetti clinici e di crescita globale della personalità dello sportivo e dell'abbattimento del disagio giovanile attraverso le dinamiche sportive di interazione.

domenica 22 gennaio 2012

Differenza d'età!

Ci fu un tempo in cui la coppia con una concreta differenza di età , soprattutto del partner maschile rispetto a quello femminile, era ben visto, tollerato e , anzi, in alcuni casi auspicato.
Insomma che l’uomo avesse 10 o 15 anni in più della donna rientrava nella casistica comune.
L’inverso invece era problematico.
Oggi i tempi sono cambiati e sembra che la differenza di età oggi tenda a creare dei problemi  e non è più “ben vista”.
Eppure non è assolutamente raro incontrare copie dove lei ha 40 anni e lui forse 25 o 30, o , viceversa, coppie in cui lei ha 45 anni e lei 25 o 30.
Una coppia famosa per questo è quella formata da Gigi D’Alessio e Anna Tatangelo.
Eppure , più di ieri, oggi la coppia con una sostanziosa differenza di età provoca sguardi compiaciuti o meravigliati, giudizi irritanti, interrogativi che mettono in imbarazzo la coppia stessa.
Il primo consiglio utile alla coppia con questa caratteristica è quello, scontato, di non lasciarsi assolutamente condizionare dal giudizio degli altri, il secondo è di non lasciarsi assolutamente scoraggiare da parenti , amici e colleghi.
Soprattutto per le donne vale il concetto di non lasciarsi condizionare nelle eventuali confidenze : soprattutto con i parenti che non vedono di buon grado che nella coppia formata da un parente ci sia una sostanziale differenza di età, vuoi perchè ritengono che non ci sia compatibilità, vuoi perchè lo ritengono anacronistico , vuoi perchè si frappongono metri di giudizio diversi e spesso dei veri e propri muri.
Tenete però presente che non tutti sono in malafede, ma , allo steso modo, non tutti saranno in buona fede, nel senso che non tutti ragioneranno “per il vostro bene” ma per lo più lo faranno tanto “per parlare” e dire la loro , ache se non rischiesto.
Un altro consiglio è quello di cercare di condividere gli interessi, gli hobby, la vita dell’altro quanto più possibile e realmente : è uno sforzo in più rispetto alla media delle coppie.
Questo servirà principalmente a voi perchp avrete meglio di conoscere il vostro partner e di creare quella simbiosi , quell’affinità che auspicate.
Ma in secondo luogo dimostrerà agli altri che tra voi c’è un intesa, forse superiore alla media, un reciproco interesse, e che quindi non è frutto di un eventuale capriccio, scusa che vi sentirete spesso ripetere nei vari discorsi.
Un altro consiglio è quello, soprattutto agli inizi, di non frequentare quei luoghi che vi potrebbero recare disagio : se credete di dover andare in discoteca, scegliete quella che più vi piace, senza sacrificarvi, ma possibilmente quella in cui non vi capiterà che vi guardino come marziani o peggio che vi chiedano l’autografo quasi foste delle star del cinema.
Preferite locali tranquilli, dove magari vi conoscono e c’è cordialità, dove possaite salutare gli amici che incontrerete e dove soprattutto siete sicuri che ne incontrerete.
Questo psicologicamente agli inizi vi aiuterà tantissimo , ma aiuterà anche i vostri amici ad accettare l’idea della vostra coppia proprio come in una normalissima coppia.
Ancora è d’obbligo il consiglio di essere voi stesi in ogni caso : evitate di vestirvi in modo giovanile, ma magari inappropiato , solo per mascherare l’età.
Ecco una cattiva idea : quella di tentare di coprire e mascherare ad ogni costo la vostra differenza di età.
Se volete fare una cosa sbagliata è esattamente quella!
Dovete sentirvi a vostro agio in qualunque occasione : cambiare look per coprire la differenza di età  il disagio lo aumenta, e non lo diminuisce affatto.
Se ad avere un età maggiore è lei o lui non importa , anche se crea e può creare problematiche diverse : ricordate che se formerete una coppia stabile, da invidiare, molti “rosicheranno” e a vincere sarete voi che avrete scommesso su un sentimento che, poi, con tutta probabilità, vi accompagnerà per tutta la vita.

giovedì 19 gennaio 2012

MUSICOTERAPIA

La musicoterapia è una modalità di approccio alla persona che utilizza la musica o il suono come strumento di comunicazione non-verbale, per intervenire a livello educativo, riabilitativo o terapeutico, in una varietà di condizioni patologiche e parafisiologiche.
La World Federation of Music Therapy (Federazione Mondiale di Musicoterapia) ha dato nel 1996 la seguente definizione:
"La musicoterapia è l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive.
La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l'integrazione intra- e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico."
Rolando Omar Benenzon, autore e docente argentino di musicoterapia, definisce la musicoterapia:
"Da un punto di vista scientifico, la musicoterapia è un ramo della scienza che tratta lo studio e la ricerca del complesso suono-uomo, sia il suono musicale o no, per scoprire gli elementi diagnostici e i metodi terapeutici ad esso inerenti. Da un punto di vista terapeutico, la musicoterapia è una disciplina paramedica che usa il suono, la musica e il movimento per produrre effetti regressivi e per aprire canali di comunicazione che ci mettano in grado di iniziare il processo di preparazione e di recupero del paziente per la società."
I principi base della pratica musicoterapeutica sono:
  1. il paziente è parte attiva della terapia;
  2. la centralità del rapporto di fiducia e l'accettazione incondizionata rispetto al paziente;
  3. l'adattamento e la personalizzazione della tecnica volta per volta;
  4. scambio reciproco di proposte tra paziente e musicoterapeuta;
  5. stabilimento di un legame tra il musicoterapeuta e il paziente grazie al suono.
Il musicoterapeuta è quindi un mezzo attraverso il quale un paziente si apre e "tira fuori"le proprie emozioni
La musica dà alla persona malata la possibilità di esprimere e percepire le proprie emozioni, di mostrare o comunicare i propri sentimenti o stati d'animo attraverso il linguaggio non-verbale.
Tipico è il caso degli individui affetti da autismo, cioè individui che sono in una condizione patologica, per cui tendono a rinchiudersi in se stessi rifiutando ogni comunicazione con l'esterno. La musica dunque permette al mondo esterno di entrare in comunicazione con il malato, favorendo l'inizio di un processo di apertura.
L'uso della musica a scopi terapeutici è documentato in numerose civiltà dal mondo antico ad oggi, prevalentemente all'interno di un modello di pensiero magico-religioso o sciamanico. Il concetto di musicoterapia come disciplina scientifica si sviluppa solo all'inizio del secolo XVIII: il primo trattato di musicoterapia risale alla prima metà del 1700 a cura di un medico musicista londinese, Richard Brockiesby. I primi esperimenti di musicoterapia in Italia furono attuati nel Morotrofio di Aversa a partire dal 1843 da parte di Biagio Gioacchino Miraglia.
In Italia nacque La CONFIAM Confederazione Italiana Associazioni e Scuole di Musicoterapia.[2] Se relativamente alla professione lo Stato Italiano non si è ancora espresso, qualche cosa si muove invece dal punto di vista della formazione.Con il Decreto Ministeriale 23 novembre 2005 prot. n. 484/2005 infatti il MIUR ha dato il via libera per la sperimentazione di un Diploma di specializzazione in “Musicoterapia” presso due Conservatori: il Conservatorio di Verona ed il Conservatorio dell'Aquila.
In lingua italiana si è cercato più volte di dare valenze diverse ai termini musicoterapeuta e musicoterapista, differenza che in altre lingue non esiste. La tesi più accreditata "terapeuta"chi ha già una laurea (psicologiamedicinaconservatorioscienze della formazione), mentre è detto "terapista" chi accede alla formazione musicoterapica senza precedenti professionalizzazioni.
Poiché sostanzialmente la musicoterapia è una modalità di approccio alla persona, si configureranno ambiti diversi di applicazione della metodica a seconda che l'utente sia singolo o gruppo, paziente o discente. Un'ulteriore moltiplicazione dei modelli musicoterapici si avrà poi in relazione alle finalità che si vogliono perseguire.
Storicamente possiamo distinguere la musicoterapia attiva (suonare) da quella recettiva (ascoltare), ma è una discrezione limitata, poiché lo stesso metodo può cambiare a seconda dell'applicativo.
Si può invece evidenziare una più precisa differenza tra le Scuole in base al core d'intervento che può essere psicoanalitico, psicosomatico, somatico.
  1. Scuole a impianto somatico
    In questi casi l'utente è un singolo e si tratta di un paziente.
    Il fine è terapeutico.
  2. Scuole d'impianto psicosomatico
    L'utenza è costituita da singoli o gruppi. Spesso, ma non solo, bambini, anziani e disabili mentali.
    Il fine è sviluppare o mantenere le capacità cognitive, espressive e di apprendimento, orientamento e coordinamento motorio.
  3. Scuole a impronta psicoanalitica
    L'utenza è costituita da singoli o gruppi.
    Il fine è sviluppare gli aspetti sociali della persona.
  4. Musicoterapia umanistica


La musicoterapia può essere utilizzata a vari livelli, quali l'insegnamento, la riabilitazione o la terapia.
Per quanto riguarda la terapia e la riabilitazione, gli ambiti di intervento riguardano preminentemente la neurologia e la psichiatria:
In ogni caso, gli interventi di tipo clinico rimangono di esclusiva competenza degli esercenti le professioni sanitarie.

lunedì 16 gennaio 2012

Parent trainig

Cos’è il parent training?
Intervento nato nell’ambito dei disturbi del comportamento infantile. I genitori sono agenti di primaria importanza nello sviluppo dei figli e deve essere fornita loro l’opportunità di cambiare il modo di interagire e promuovere lo sviluppo di comportamenti positivi.
Si propone di modificare lo stile relazionale e gli atteggiamenti che influiscono negativamente sui comportamenti dei bambini. I fattori che hanno contribuito all’affermarsi di tale modello sono:
-          Fondamento empirico e sperimentale: analisi comportamentale, uso di un linguaggio che fa riferimento a eventi concreti; l’efficacia viene valutata con misurazioni ripetute; i genitori possono verificare i risultati delle loro strategie ed eventualmente modificare queste ultime.
-          Risultati positivi che produce
-          Centralità della relazione genitore-bambino

Si può spostare l’attenzione dal rimedio alla prevenzione, cioè molti problemi possono essre contenuti se i genitori ricevono un valido supporto psico-educativo.

Nell’affrontare un particolare problema, lo psicologo non potrà limitarsi all’analisi del comportamento e all’indicazione di modelli educativi che sostituiscano le modalità non corrette di gestione del rapporto, ma dovrà altresì ricorrere ad altri strumenti, come le griglie strutturate e le registrazioni sistematiche.

L’analisi comportamentale delle interazioni educative
L’analisi comportamentale per molto tempo ha escluso il coinvolgimento dei genitori, privilegiando come setting dell’intervento lo studio dell’analista.
Ma col tempo ci si è resi conto che quando si studiano gli effetti di variabili come l’attenzione sociale, i contatti affettivi, le espressioni verbali, sembra utile coinvolgere i genitori.
Questa ottica comporta:
-          insegnare ai genitori i principi operanti
-          osservare e registrare cosa succede

Tutti i comportamenti sono il risultato internazionale dell’individuo e vengono analizzati in relazione alle variabili antecedenti e conseguenti che li influenzano in maniera contingente.
L’attenzione viene posta principalmente sui comportamenti osservabili e sulle condizioni contingenti in cui si manifestano. Un rilievo particolare viene dato al contesto sociale prossimo e alle interazioni con gli adulti significativi.

L’azione educativa è resa efficace per mezzo dell’insegnamento sistematico dei principi comportamentali. L’insegnamento pratico risulta molto più vantaggioso dei metodi verbali. Un coinvolgimento diretto dai genitori è da preferire: l’insegmnamento di abilità è più utile della semplice trasmissione verbale dei contenuti. È importante non trascurare di rinforzare ogni successo che il genitore ottiene. Anche altri metodi di insegnamento sono utili, come il modeling ed il role play, i supporti audiovisivi, gli homeworks, i manuali di autoistruzione.

Vi sono tre modelli di intervento:
-          consultazione individuale: il singolo genitore o la coppia si rivolge allo specialista con il fine di affrontare uno specifico problema del bambino
-          situazione strutturata: prevede un contesto estremamente controllato per osservare e modificare le interazioni genitore-bambino.
-          Gruppi educativi: coinvolgono più genitori in cicli di incontri che variano per durata, contenuti e tecniche utilizzate.

Un aspetto innovativo di questo approccio è la realizzazione dell’intervento in contesti naturali. Nell’ambiente familiare vengono condotte le osservazione, con un’analisi dettagliata del comportamento del genitore, del bambino e delle loro interazioni.
Il setting terapeutico presenta alcune peculiarità rispetto al contesto familiare, come una elevata strutturazione, necessaria per facilitare i comportamenti attentivi del bambino o per controllare che le conseguenze siano efficaci. Il contesto familiare fornisce opportunità più ricche ma anche più variabili.
Se il comportamento deve essere modificato, l’intervento deve avere luogo quando e dove il comportamento stesso si manifesta.

Disegno a inversione:
-          baseline: il comportamento viene osservato in modo da ottenere una misurazione che funga da riferimento (A)
-          nella fase sperimentale viene applicato il trattamento (B)
-          nella fase successiva si ripristinano le condizioni originarie. Se eliminando il trattamento il comportamento ritorna ai livelli precedenti si può ritenere che i cambiamenti siano conseguenti all’intervento (A’)
-          l’intervento viene impiegato nuovamente se produce i cambiamenti che erano già stati osservati (B’)


Disegno a baseline multipli:
-          si misurano più comportamenti in modo da ottenere più linee di base
-          il trattamento viene inserito su un comportamento alla volta
-          se i singoli comportamenti si modificano dal momento in cui viene attuato l’intervento, si ritengono influenzati dallo stesso intervento
Le linee di base possono valutare:
-          differenti variabili in uno stesso soggetto
-          la stessa variabile in soggetti diversi
-          la stessa variabile in differenti situazioni

E’ necessario controllare il cambiamento e lo si può fare rispondendo a quattro quesiti diversi
  1. generalizzazione temporale: il programma produce cambiamenti duraturi?
  2. generalizzazione del setting: i comportamenti si presentano anche in altri contesti?
  3. generalizzazione del comportamento: i genitori sono in grado di utilizzare le strategie con più comportamenti?
  4. generalizzazione verso altri figli: le nuove strategie, sono adoperate anche con loro?

I programmi per l’autismo e i deficit di sviluppo

  1. PORTAGE:

Piano educativo globale per lo sviluppo del bambino disabile. Comprende sei aree: socializzazione, linguaggio, autonomia, livello cognitivo, livello motorio, stimolazioni infantili. L’intervento domiciliare viene suddiviso in tre momenti: discussione con i genitori, parte pratica, scambio di informazioni su eventuali problemi. Il programma non propone ricette da applicare rigidamente senza tenere conto della peculiarità della famiglia ma sono richieste al contrario ingegnosità, creatività e flessibilità per adattare le attività e trovare soluzioni personali.
L’azione di recupero diventa più dispendiosa e inefficace quanto più viene iniziata tardivamente. Un lavoro accanto alle famiglie richiede un’attenzione a molteplici aspetti quali:
- comprendere le problematiche nella loro globalità
- costruire una relazione di fiducia
- insegnare ai genitori ad osservare il comportamento del loro bambino
- essere sensibile ai cambiamenti


  1. YOUNG AUTISTIC PROJECT

Programma intensivo di Lovaas dalle seguenti caratteristiche:
-          la concettualizzazione dell’autismo su base organica e la descrizione comportamentale dei sintomi
-          la programmazione dell’intervento al fine di ampliare il repertorio dei comportamenti adattivi e di controllare quelli disfunzionali
-          l’inizio precoce dell’intervento, che ha in fine di modificare l’ambiente in cui il bambino cresce, per rendere ottimali le condizioni di apprendimento nonostante le alterazioni neurofisiologiche
-          trasferimento dell’intervento dall’istituzione ai contesti naturali
-          programma intensivo che coinvolge il bambino e i suoi genitori in quasi tutti i momenti della giornata
La formazione degli operatori, degli insegnanti e degli educatori è una fase chiave del programma.

  1. TEACCH

Questo approccio pone al centro i bisogni psicologici dei genitori e la loro funzione di supporto ai programmi educativi e sottolinea il primato dell’educazione rispetto alla psicoterapia tradizionale. I familiari sono riconosciuti come esperti dei problemi del bambino, con una specifica competenza. Altri principi cardine:
-          individualizzazione e flessibilità dei programmi, valutazione accurata delle abilità del soggetto
-          apprendimento strutturato (ad es. organizzazione fisica degli ambienti, che può aiutare a decidere quale sia il comportamento opportuna da mettere in atto)

Le attività a casa sono precedute da due fasi:
-          informativa
-          diagnosi estesa (in questa fase i genitori possono osservare il lavoro di un operatore tramite uno specchio unidirezionale e commentare ciò che si sta svolgendo insieme ad un educatore)

Svantaggio sociale e disadattamento

Il disadattamento sociale e scolastico è correlato allo svantaggio socioculturale, alla povertà, a un basso q.i.
Il progetto più conosciuto per la prevenzione dei rischi connessi alle carenze socio-ambientali, è l’Head Start (cominciare dall’inizio), cui fece seguito l’Home Start.
Questo, coinvolgeva i bambini per otto settimane presso asili in cui erano proposte attività per lo sviluppo psicomotorio, cognitivo e del linguaggio. Partecipavano anche i genitori che miglioravano l’alimentazione e le condizioni igieniche a casa.
I limiti sono legati all’impossibilità di evidenziare benefici a lungo termine se non si mantenevano i bambini in un ambiente educativo di buon livello. La soluzione fu quella di coinvolgere in modo più sistematico i genitori (Bronfenbrenner: intervento ecologico).

Sembrerebbe che i parent training possano compensare le carenze della stimolazione dei primi anni di vita.

Lutzker propone un approccio “eco comportamentale” per insegnare agli adulti le abilità necessarie per accudire i figli ed evitare le difficoltà quotidiane che possono scatenare la negligenza e l’abuso.
Il programma è articolato
-          training sulla relazione genitore-figlio per favorire la compliance
-           __  __  sulle abilità di base
-          pediatria comportamentale
-          riduzione dello stress dei genitori
-          problem solving

Il p.t. sarebbe un intervento settoriale limitato; modifica alcune attività dei genitori che incidono sullo sviluppo dei bambini.

Alcuni bambini presentano difficoltà di adattamento sociale. Oltre a non rispettare le regole comuni, possono mostrare reazioni sproporzionate agli eventi e indifferenza rispetto alle conseguenze dei propri comportamenti; non provano sentimento di rimorso. In alcuni casi si possono mostrare divertiti, compiaciuti.

Patterson propone un modello che analizza l’origine di questi problemi e che prende in esame gli effetti multipli di diversi fattori di rischio - ciclo della coercizione. I punti chiave di questo processo sono:
-          influenza reciproca genitore-bambino
-          effetti del rinforzamento negativo
-          escalation di intensità dei comportamenti

Le interazioni familiari possono diventare un contesto per l’apprendimento di comportamenti antisociali.
Il p.t. si propone di rompere questo processo coercitivo, ma è necessario un intervento precoce.

Metodi inefficaci di disciplina:
-          comportamento verbale del genitore
-          ricorso alla punizione
-          rinforzamento (nel caso in cui viene prestata attenzione ai comportamenti da eliminare)
-          permissività
-          incoerenza

I programmi preventivi hanno lo scopo di evitare che i comportamenti antisociali si sviluppino con i familiari e dopo si estendano a scuola con insegnanti e coetanei, dove sarebbe difficile recuperare i comportamenti antisociali. Non tutti i genitori rispondono al trattamento, perché non vogliono prenderne parte o perché il p.t. non risolve problemi sociali e psicologici che possono affliggere la famiglia.

Il p.t. di Patterson per bambini e ragazzi si propone di evitare il ricorso all’istituto, tentando la via del recupero sociale a partire dalla famiglia. L’intervento dura circa 4 mesi e si svolge in gruppo (20-30 ore. E’ previsto follow-up per il mantenimento a 3, 6 e 12 mesi dalla fine del programma).
Affronta 5 strategie:
- identificazione e osservazione dei comportamenti
- contrattazione delle contingenze, rinforzamento dei comportamenti positivi
- gestione dei comportamenti inadeguati secondo la loro gravità (costo della risposta, time out[PR1] )
- supervisione e controllo del bambino quando è lontano da casa
- problem solving e negoziazione

Oltre le tecniche: genitori come risorse

Le convinzioni dei genitori rispetto alle proprie capacità educative hanno una grande influenza sui comportamenti concreti con i figli. La funzione genitoriale comprende anche un sistema di idee e aspettative che influenzano il modo di agire. Gli psicologi comportamentali ritengono che molte interazioni sia fortemente complesse: lo sforzo empirico è quello di analizzarle in termini di scambi funzionali.

Autoefficacia educativa: possesso di capacità necessarie alla cura a all’educazione dei figli; esercizio valido del ruolo genitoriale. Si tratta di efficacia percepita, rappresenta un costrutto difficile da circoscrivere. Include diversi domini, strettamente interconnessi, come competenza e soddisfazione. Autori hanno proposto strumenti per valutarla: scala del “Senso di competenza della cura dei figli”.
Il senso dell’efficacia genitoriale sembra agire anche negativamente, in genitori che non si ritengono competenti.

Attribuzione delle cause agli eventi: le cause possono essere individuate all’interno o all’esterno dell’individuo e possono essere considerate transitorie o stabili. Comprendere quale sia l’orientamento cognitivo dei genitori è importante ai fini del cambiamento. Compito del consulente sarà quello di bilanciare in maniera realistica le aspettative riguardo i possibili successi ed il peso delle responsabilità degli adulti. È opportuno che la realizzazione de p.t. sia preceduta da una valutazione delle credenze e delle aspettative genitoriali che potrebbero essere di ostacolo al cambiamento.

Crtitiche al p.t.: pretesa che la soluzione tecnica come l’unica praticabile (porta ad accentuare passività dei genitori, attribuzione del fallimento a una errata attuazione del programma da parte dei genitori); condivisione dell’idea che il p.t. sia un rimedio proponibile per tutti i genitori, e sempre efficace.

Anche se un programma è focalizzato su comportamenti osservabili e circoscritti non viene escluso che il processo di cambiamento, per i bambini e i genitori, sia più globale e riguardi le emozioni, gli atteggiamenti e le modalità comunicative.

Il metodo comportamentale dà consigli pratici e insegna l’uso di tecniche che possono garantire un risultato positivo. La psicoanalisi lo critica: i metodi sembrano incidere solo a livello superficiale, trasformando i comportamenti senza rimuovere le cause inconsce all’origine del problema.
L’analisi comportamentale puntualizza che non sempre i programmi sono efficaci; vi sono condizioni in cui il p.t. non può dare risultati attesi o può essere sconsigliato.

L’obiettivo del professionista è quello di aiutare i genitori a riprendere il controllo della situazione a casa, insegnando loro come modificare antecedenti e conseguenti del comportamento del bambino.
Alle volte può correre il rischio di soffermarsi sugli aspetti tecnici fornendo ai genitori il programma ignorando l’individualità della famiglia.

Qualunque p.t. è collaborativo. Deve esistere un dualismo tra famiglia e professionista. Le potenziali barriere che lo ostacolano sono:
-          credenze negative sui genitori
-          trascurare il funzionamento della famiglia
-          differenze razziali e culturali, nelle norme sociali, nei ruoli e nelle strutture familiari
-          visioni discrepanti sulla funzione genitoriale

Storia internazionale genitore-bambino
Psicologo consulente
Genitore esperto dei problemi del suo bambino
Esperto dei problemi clinici dello sviluppo
Conoscenza unica della situazione
Conoscenze generali

Messa in comune delle competenze
Collaborazione
Proposte ai genitori


La relazione deve essere simmetrica e paritetica. Se i familiari possono essere ascoltati e possono esprimere le loro perplessità, aumenta la loro fiducia in relazione ai problemi educativi. L’efficacia di un approccio collaborativo riduce i conflitti e le incomprensioni, mentre aumenta l’impegno e la motivazione.

Il p.t. poggia sulla nozione di empowrment: promuove l’autonomia a partire dall’esperienza dei genitori stessi, stimolando la modificazione di atteggiamenti e la ricerca di soluzioni.

La Consulenza individuale

Auerbach: obittivi della consulenza educativa o parent education

-          far conoscere i principali temi dello sviluppo infantile
-          chiarire il ruolo e l’influenza che gli adulti possono svolgere
-          aumentare la capacità di analisi delle situazioni ordinarie

Due approcci fanno da sfondo alla maggior parte degli interventi di parent education:
-          counselling riflessivo: privilegia costrutti come l’empatia e la consapevolezza dei sentimenti
-          approccio comportamentale: si sofferma sui comportamenti osservabili dei genitori per spiegare come influenzano quelli dei figli e viceversa

Sequenza tipica dei p.t.:
§  identificare il problema e descriverlo in termini comportamentali: l’indagine con i genitori (colloqui o test) consente di raccogliere molte informazioni. L’assessment funzionale privilegia la rilevazione diretta delle abilità e delle pratiche dei genitori e lo strumento principe è l’osservazione in contesti ecologici. Le routine familiari rappresentano un utile chiave di lettura delle interazioni tra genitori e figli; sono utili per l’individualizzazione dell’intervento.
-          decidere quale problema affrontare per primo
-          condurre un’analisi funzionale del problema: permette di scomporre le sequenze in:
§  eventi antecedenti
§  comportamenti del bambino
§  eventi conseguenti
§  situazione
-          assicurarsi che i genitori possiedano abilità necessarie a svolgere l’intervento
-          definire il piano dell’intervento: la fase operativa si realizza attraverso una negoziazione del piano dell’intervento
§  selezionare gli obiettivi (le attività procedono “a piccoli passi” e i cambiamenti non possono essere rapidi e completi)
§  discutere le alternative e scegliere le tecniche (in genere viene richiesta una combinazione di tecniche quali: fading, shaping, rinfiìorzamento, modeling, role playing)
-          mettere in atto il programma: assessment dei rinforzatori, token economy
-          registrare i progressi: monitoraggio e verifica (il genitore è il primo ad avere un feedback circa l’efficacia dell’intervento, sono effettuate periodiche osservazioni per controllare che gli eventuali progressi siamo duraturi)
-          rivedere il programma se risulta inefficace
-          assicurarsi della generalizzazione e del mantenimento del programma: tale punto spesso viene trascurato. Per quanto concerne il perdurare dei risultati nel tempo, i genitori devono sapere dell’importanza di continuare ad applicare le strategie educative

NB: una volta eliminato il problema originario, il rapporto con la famiglia dovrebbe cessare, anche se i genitori sanno che possono continuare a rivolgersi al consulente se subentrano nuove difficoltà.

I Gruppi Educativi

La mancanza di criteri rigorosi per documentare la validità e l’efficacia dell’intervento risulta essere un limite comune alla maggior parte dei programmi d’intervento.
La “fortuna” dei programmi di gruppo si deve al carattere informativo che spesso assumono e alla loro apparente economicità.
L’operatore che si appresta a programmare un parent training deve porsi una serie di quesiti:
-          quali obiettivi si propone il programmare
-          quanto può essere lungo e dettagliato il corso
-          a chi è destinato
-          ci sono in letteratura programmi che può essere utile consultare
-          come verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti

Il gruppo offre ai genitori un contesto estremamente ricco e stimolante per condividere esperienze, aspetto positivo poiché normalizza difficoltà e preoccupazioni e aiuta ad affrontare situazioni critiche. Altri vantaggi sono:
-          contributo dei diversi conduttori
-          maggiore fiducia nei confronti delle procedure
-          rinforzamento reciproco
-          supporto di altri genitori

I limiti invece sono:

- di tipo organizzativi (trovare famiglie con caratteristiche analoghe)
- corrispondenza tra le finalità del programma e le esigenze dei genitori
- sovrapposizione con altri interventi attuati dai servizi del territorio

Non vi  sono regole precise riguardo la dimensione del gruppo (minino 4-5 famiglie); numero ottimale varia tra i 5 e 8. prima di iniziare il programma è utile un contratto preliminare per evitare ambiguità. La composizione del gruppo deve essere il più possibile omogenea per età, caratteristiche dei figli e dei genitori. Le condizioni socioculturali e lo status coniugale sonole variabili più influenti.
In genere si prevedono da 4 a 10 incontri di circa 2 ore. I partecipanti devono conoscersi reciprocamente al primo incontro per sentirsi al proprio agio e partecipare attivamente. Un incontro settimanale è il modo ottimale per non diluire nel tempo il programma e consentire i genitori di lavorare a casa. Le ultime sessioni possono essere più distanziate per offrire l’opportunità di rendersi indipendenti. Ogni unità del programma affronta una specifica tematica (i contenuti cambiano in funzione degli scopi del p.t. e delle caratteristiche del gruppo) e viene articolata in tre momenti:
  1. parte teorica per illustrare gli aspetti generali dell’argomento (parte essenziale per introdurre gli argomenti chiave della modificazione comportamentale)
  2. parte pratica in gruppi meno numerosi destinata all’esercitazioni delle tecniche illustrate durante la sessione teorica. Alcuni genitori sono riluttanti a svolgerle ed è bene specificare all’inizio che tutti a turno saranno coinvolti.
  3. conclusioni che richiamano il tema dell’incontro e assegnazione degli homeworks da realizzare a casa; i loro vantaggi riguardano la trasmissione dell’idea che il  cambiamento a casa non è un effetto alone della partecipazione ma richiede un impegno concreto; contestualizzazione dei contenuti alle circostanze reali di vita

Un conduttore per essere efficace deve assumere diversi funzioni:
  1. fornire supporto
  2. fornire empowerment per rafforzare il senso di efficacia genitoriale
  3. insegnare evitando però un ruolo esclusivamente didattico
  4. interpretare e tradurre i concetti in applicazioni concrete
  5. condurre e provocare il gruppo
  6. anticipare i problemi futuri

La valutazione dei risultati può avvenire a più livelli:
  1. efficacia percepita: gradimento per il programma realizzato rilevato da questionari in forma standard
  2. acquisizione di conoscenza su temi psicologici, tecniche di modificazione comportamentale, caratteristiche di una sindrome
  3. comportamenti educativi osservati nel contesto delle interazioni familiari che consentono di accertare l’applicazione concreta delle tecniche
  4. misure indirette dei cambiamenti che il programma ha indotto invariabili quali lo stress e l’autoefficacia dei genitori

Un programma senza misurazioni di follow-up non consente di fare affermazioni generali. Gli strumenti disponibili per la valutazione del p.t. sono pochi. E’ preferibile un atteggiamento cauto da parte dell’operatore e ricorrere a più strumenti di valutazione.

CONCLUSIONI

L’efficacia dei programmi sembra indubbia quando i problemi del bambino sono specifici e circoscritti.
-          Bambini con ritardo evolutivo: risultati miglioro con interventi precoci e globali
-          Bambini autistici: non è possibile generalizzare i risultati
-          Bambini con disturbi della condotta: affrontarli diventa più difficili con l’aumentare dell’età e dei contesti in cui i problemi si presentano

Genitori:
-          importanza della loro percezione riguardo l’efficacia del p.t.
-          devono avere lo stesso punto di vista del consulente per gli scopi e gli obiettivi
-          devono poter discutere con il consulente su alcune questioni personali (sentimenti, dubbi)
-          devono essere incoraggiati

Problemi del p.t.

  1. i genitori interrompono i colloqui
  2. insufficiente partecipazione
  3. mancanza di puntualità e precisione
  4. non si verifica il mantenimento dei risultati

NB: il terapeuta non deve dimenticare che il p.t. non è risolutivo di tutti i problemi familiari ma è un intervento mirato e circoscritto alle abilità di gestione del rapporto educativo.





Indica una sospensione del rinforzamento per un breve intervallo (3-4 minuti, non oltre 15). Segue comportamenti gravi e si giustifica solo quando altri hanno fallito. Il b. può tornare alla situazione precedente quando il comportamento che ha fatto scattare la sospensione è cessato. Il genitore ripropone la richiesta senza mostrare risentimento preparandogli un deposito di lodi e affetto. Un uso saltuario e incoerente di tale strategia peggiorerebbe la situazione.